Ricercatori coinvolti nella ricerca:

University of Bologna: Francesco R. Ferraro, Cristina Pallanca, Barbara Lanzoni,  Chiara Crociati, Alessio Mucciarelli

INAF-OAS: Emanuele Dalessandro, Livia Origlia

University of California (USA): R. Michael Rich

Liverpool John Moores University (UK): Sara Saracino

European Southern Observatory (Germany): Elena Valenti,  Giacomo Beccari

University of Conception (Chile): Douglas Geisler, Sandro Villanova

Universidad Católica del Norte (Chile): Francesco Mauro, Cristian Moni Bidin

Per ulteriori informazioni

Francesco Ferraro

email: francesco.ferraro3@unibo.it

tel: +390512095774

mobile: +393666357560

Un popolare modello per spiegare la formazione del bulge della Via Lattea (come anche delle galassie ellittiche e dei bulge delle spirali) è il cosiddetto “collasso monolitico”, secondo cui la queste strutture sono state generate dal rapido collasso di una singola nube di gas. Tuttavia, questo modello è ancora molto dibattuto in letteratura,

specialmente perché alcune evidenze  suggeriscono, invece, che i bulge delle galassie siano stati generati dalla fusione (merging, in inglese) di massicci agglomerati primordiali di gas e stelle, come quelli effettivamente osservati nelle galassie in via di formazione ad alto redshift. Così, mentre il processo di merging sembra  riuscire a ben descrivere la formazione dei bulge nelle galassie esterne, nessuna evidenza osservativa di questo meccanismo era mai stata ottenuta per il Bulge galattico. Alcune domande sorgno quindi spontanee: anche il Bulge della nostra galassia si è formato in questa maniera? Se così fosse, perché non è mai stato trovato alcun relitto fossile di questo processo?

Illustrazione schematica del processo di “collasso monolitico”, che porta alla formazione di un bulge (o di una galassia ellittica) a seguito del rapido collasso di una singola nube di gas.

Credits: 2004 Pearson Education, publishing as Addison Wesley

Immagini di galassie a spirale “clumpy” osservate ad alto redshift (il valore del  redshift è indicato nell’angolo sinistro di ciascun pannello), dove sono ben evidenti gli agglomerati che, attraverso processi di fusione mutua (merging), si pensa che portino alla formazione dei bulge. Le immagini sono state acquisite con il Telescopio Spaziale Hubble nell’ambito della Great Observatory Origins Deep Survey (GOODS). Da Elmegreen et al. 2009.

“È questa la domanda chiave che, 15 anni fa, ha dato il via al progetto. Infatti, sebbene ci si aspetti che la grande maggioranza dei frammenti primordiali si sia dissolta nella formazione del Bulge, alcune simulazioni dimostrano che alcuni di questi agglomerati stellari potrebbero essere sopravvissuti alla totale distruzione e orbitare ancora nelle parti centrali della Via Lattea sotto le sembianze di ammassi globulari particolarmente massivi. Diversamente dai genuini ammassi globulari, però, questi sistemi dovrebbero ospitare popolazioni stellari con differenti età e abbondanze di ferro, poiché il loro progenitori erano sufficientemente massicci da trattenere al loro interno il gas ricco in ferro espulso dalle esplosioni di supernova e dare vita a più episodi di formazione stellare”, afferma il Prof. Francesco Ferraro, primo autore e coordinatore dello studio.

Proprio seguendo questa strada, nel 2009 il gruppo del Prof. Ferraro ha scoperto il primo candidato relitto fossile dell’epoca di formazione del Bulge galattico. Questo sistema stellare, chiamato Terzan 5, aveva le sembianze di un ammasso globulare, ma grazie l’accurato studio del gruppo di ricerca, ha invece mostrato tutte le proprietà attese per i relitti fossili delle strutture giganti che dovrebbero aver contribuito a generare il Bulge: una popolazione stellare estremamente vecchia, con un’età pari a quella di formazione della Via Lattea (12 miliardi di anni) ed un’altra popolazione molto più giovane (di soli 4.5 miliardi di anni) molto piu` ricca in ferro. “Questa scoperta diede inizio ad un nuovo filone di ricerca, indirizzato alla scoperta di altre strutture simili ancora nascoste nel Bulge galattico”, aggiunge la Prof. Barbara Lanzoni dell’UniBO e associata all’INAF, co-autrice dell’articolo.

L’immagine di Terzan 5 che, nel 2009, ne ha rivelato la vera identità.

Visione artistica della Via Lattea, in cui si evidenzia la posizione del Bulge (il rigonfiamento centrale) rispetto al Sole (quindi alla Terra). Prima di arrivare ai nostri telescopi, la luce emessa dalle stelle del Bulge deve attraversare uno spesso strato di nubi interstellari che ne assorbono una grande frazione.

L’immagine è della galassia NGC 4565, molto simile alla Via Lattea.    Credits: ESO

Purtroppo, però, l’esplorazione del Bulge della Via Lattea è tutt’altro che facile. Esso rappresenta di fatto la regione più inaccessibile della nostra galassia, dove spesse nubi di polvere oscurano fortemente la luce stellare, generando un’enorme estinzione che può raggiungere anche 10 magnitudini alle lunghezze d’onda ottiche (in altri termini, una stella che si trova al di là di queste nubi, se osservata alle lunghezze d’onda ottiche a cui è sensibile anche l’occhio umano, può risultare fino a 10000 volte più debole di quanto sia in realtà!!). Fortunatamente, la radiazione infrarossa è invece in grado attraversare quasi indisturbata queste nubi e portarci informazioni dirette sulle sorgenti luminose nascostevi dietro. Così, l’utilizzo di osservazioni nel vicino infrarosso è di fatto essenziale per poter  effettuare questa ricerca. “Per la verità, avevamo bisogno di qualcosa di più che semplici osservazioni in bande infrarosse. Infatti, poiché il nostro scopo era l’osservazione di sistemi di alta densità stellare, avevamo bisogno di una combinazione speciale: osservazioni infrarosse ad altissima risoluzione spaziale!”, commenta la Dott.ssa Cristina Pallanca (UniBO e associata all’INAF), co-autrice del lavoro.

La soluzione è venuta da un vero e proprio gioiello tecnologico chiamato GeMS (“Gemini Multi-conjugate adaptive optics System”), che lavora in combinazione con la potente camera infrarossa GSAOI ("Gemini South Adaptive Optics Imager") montata sul telescopio di 8 metri Gemini South, situato sul Cerro Pachón, in Cile.

Il telescopio Gemini South installato a 2737 m di altitutine, sulla vetta del Cerro Pachón, in Cile.

Credits: Gemini Observatory/AURA

Le straordinarie performance di questo strumento sono ideali per condurre con successo questa ricerca. Infatti, non solo questa camera opera a lunghezze d’onda infrarosse (dove l’effetto di diminuzione della luce stellare causato della polvere è estremamente ridotto), ma fornisce anche una risoluzione angolare molto elevata, che permette di distinguere le singole sorgenti anche nelle regioni più affollate dei sistemi stellari ad alta densità, con una  risoluzione confrontabile a quella del telescopio spaziale Hubble. Quest’ultima caratteristica è resa possibile da un sistema di ottica adattiva multi-coniugata, un innovativo apparato tecnologico capace di rimuovere efficacemente le distorsioni che la turbolenza atmosferica terrestre provoca sulle immagini astronomiche. La correzione necessaria viene calcolata attraverso l’analisi in tempo reale delle immagini di tre stelle guida naturali e di una costellazione di cinque stelle laser. “Con questo strumento straordinario abbiamo cominciato un’esplorazione sistematica delle popolazioni stellari in un campione di ammassi globulari massicci nel Bulge galattico, alla ricerca di un oggetto simile a Terzan 5. Tra i nostri obiettivi ad alta priorità c’era proprio Liller 1, uno degli ammassi globulari di più alta massa, ma anche tra quelli maggiormente oscurati dalle nubi di polvere del Bulge”, spiega Ferraro.

Il telescopio Gemini South lancia un fascio di luce laser: è così che vengono generate le stelle artificiali necessarie per correggere le immagini astronomiche dalle distorsioni provocate dall’atmosfera terrestre.

Credits: Gemini Observatory/AURA

“Finalmente, nel 2015 abbiamo ottenuto una serie di immagini straordinarie di Liller 1, con una nitidezza senza precedenti: nelle migliori esposizioni in banda K, le immagini delle stelle arrivano ad avere una dimensione angolare di soli 75 milli-arcosecondi, indicando che GeMS riesce ad eseguire una correzione pressoché perfetta delle distorsioni atmosferiche. Queste osservazioni hanno permesso la prima esplorazione delle popolazioni stellari di questo sistema”, continua il Dott. Emanuele Dalessandro di INAF-Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio (OAS) di Bologna, co-autore del lavoro.

Straodinaria immagine (15"x15") in banda K della regione centrale di Liller 1 acquisita con GeMS/GASOI al Gemini South. La dimensione angolare di ciascuna stella è di appena 0.075".

Image Credit: F.R. Ferraro/E. Dalessandro (Cosmic-Lab - UniBO)

Come ci si aspettava, questo primo studio ha messo in evidenza una popolazione stellare molto vecchia (con un’età di circa 12 miliardi di anni), che colloca la formazione di Liller 1 nelle prime fasi della storia  evolutiva della Via Lattea. Qualcosa di anomalo, però, era già presente in quel diagramma colore-magnitudine: una sequenza di stelle blu, che sembrava mimare la presenza di una popolazione di stelle giovani. Purtroppo non era possibile trarre alcuna conclusione definitiva sulla base di quell’unico indizio: il sistema si trova, infatti, nelle regioni più interne del Bulge ed è estremamente difficile distinguere le stelle che veramente gli appartengono, da quelle che, invece, sono “di campo”, cioè  orbitano all’interno della galassia ma sono osservate lungo la stessa linea di vista. In ogni caso, un dubbio (insieme ad una speranza) germogliò in modo naturale: Liller 1 potrebbe essere un oggetto simile a Terzan 5?

Per rispondere a questa domanda erano necessarie ulteriori e complementari osservazioni, di ugual profondità e nitidezza. Sorprendentemente nessuna immagine profonda di Liller 1 era mai stata acquisita con HST, nonostante i suoi 30 anni di attività. Incredibile! “Per rimediare a questa mancanza, abbiamo prontamente chiesto e ottenuto osservazioni ultra profonde con HST nelle bande V e I. Era la prima volta che gli occhi di Hubble osservavano Liller 1 alle lunghezze d’onda ottiche!”, spiega Ferraro, che è stato il proponente e il responsabile di queste osservazioni HST. A questo punto, il team aveva a disposizioni le migliori immagini di Liller 1 ottenibili con la strumentazione disponibile, le migliori mai ottenute, sia nella banda ottica, che in quella infrarossa.

Immagine artistica di Gemini South e HST entrambi puntati verso Liller 1 nel Bulge galattico (Credit per l’immagine della Galassia: ESO/S. Brunier). Le immagini HST in banda ottica usate in questo studio sono le prime mai ottenute per Liller 1.  Image Credit: F.R. Ferraro/C. Pallanca (UniBO)

“L’analisi dettagliata dei dataset HST e GeMS ha svelato immediatamente un punto debole (una banda debole, ad essere precisi) in entrambi: alle lunghezze d’onda ottiche, le osservazioni in banda V erano decisamente meno fonde delle esposizioni in banda I, mentre nel vicino infrarosso la limitazione riguardava le immagini in banda J. Ovviamente, la soluzione ottimale poteva essere soltanto una: combinare insieme le due esposizione più profonde: quelle nei filtri I e K“, dice Chiara Crociati, co-autrice del lavoro, che ha appena cominciato il suo progetto di dottorato presso l’UniBO.

La combinazione dei due set di immagini è stato un processo lungo e complesso. Tuttavia ha permesso di risolvere due problemi che impedivano la lettura chiara del risultato. Il primo: ha permesso di correggere l’estinzione differenziale causata dalla polvere, che ha l’effetto di allargare e distorcere le sequenze evolutive nel diagramma colore-magnitudine, rendendone difficile l’interpretazione. Il secondo: ha permesso di misurare i moti propri delle stelle, grazie ai quali è stato possibile distinguere chiaramente quelle membre dell’ammasso, da quelle che appartengono invece al campo galattico.

Il CMD ibrido (vicino-IR/ottico) risultante da questa combinazione, corretto per l’estinzione differenziale e costruito usando solo le stelle membre di Liller 1, e` davvero sorprendente e ha svelato senza alcun dubbio la vera natura di questo sistema stellare. “La presenza di due popolazioni stellari con età drasticamente differenti era palese: la più vecchia era quella già messa in evidenza dallo studio precedente, con un età di almeno 12 miliardi di anni, mentre la più giovane non era mai stata rivelata prima e ha mostrato un’età di appena 1-2 miliardi di anni. Finalmente avevamo scoperto un altro sistema stellare simile a Terzan 5 nel cuore della nostra galassia!”, commenta Pallanca.

La prima immagine ottica di Liller 1 mai ottenuta da Hubble (sinistra) e quella infrarossa acquisita al telescopio Gemini South in Cile (destra). È proprio dalla combinazione di queste straordinarie immagini che è stata svelata la vera identità di Liller 1: per la prima volta, si è scoperto che questo sistema ospita due popolazioni stellari distinte, una estremamente vecchia, di circa 12 miliari di anni, ed un’altra che si è formata solo 1-2 miliardi di anni fa.

Image Credit: F.R. Ferraro/C. Pallanca (UniBO)

Le proprietà delle popolazioni stellari vecchie osservate in Liller 1 e in Terzan 5 dimostrano che entrambi questi sistemi si sono formati molto tempo fa, all’epoca della formazione della Via Lattea. D’altra parte, le popolazioni giovani sono più ricche di ferro e maggiormente concentrate nelle regioni centrali rispetto alle popolazioni vecchie, in accordo con quanto ci si aspetta in uno scenario di auto-arricchimento, in cui le stelle più giovani si formano da gas chimicamente arricchito dalla popolazione precedente. Questo conferma che entrambi i progenitori di Liller 1 e Terzan 5 erano abbastanza massicci da trattenere il gas espulso dalle supernove. Le evidenze osservative raccolte indicano chiaramente che questi oggetti non sono ammassi globulari, ma definiscono invece una nuova classe di sistemi stellari, che, in realtà, sono i resti di strutture massive primordiali che si formarono in situ e contribuirono a generare il Bulge circa 12 miliardi di anni fa. Una classe di oggetti per questo denominati “Frammenti Fossili del Bulge (BFF)”.

Immagine della Via Lattea in direzione del centro galattico (Credit: ESO/S. Brunier), con evidenziate le posizioni dei due Frammenti Fossili del Bulge identificati finora: Liller 1 e Terzan 5. Le macchie scure su fondo chiaro sono nubi spesse di polvere interstellare che assorbono la luce emessa dalle sorgenti che vi stanno dietro.

Image Credit: F.R. Ferraro/C. Pallanca (UniBO)

“Dobbiamo scavare più a fondo nel Bulge della galassia. In questi reperti fossili (come in una sorta di Stele di Rosetta) è scritta la storia di formazione della Via Lattea, risalente ad un’epoca in cui l’universo era ancora bambino (aveva solo un miliardo di anni). Grazie a questi “ritrovamenti fossili” oggi possiamo finalmente cominciare a leggere questa storia e forse a ridisegnare le nostre conoscenze riguardo alla formazione del Bulge”, conclude Ferraro.

Quali sono le proprietà distintive dei Frammenti Fossili del Bulge?

I BFFs (1) in apparenza, sono indistinguibili dai genuini ammassi globulari, (2) possiedono una metallicità e abbondanze chimiche compatibili con quelle osservate nelle stelle di campo del Bulge, (3) ospitano una popolazione stellare vecchia (confermando che si sono formati nella primissima fase di formazione della Via Lattea), (4) ospitano una popolazione stellare giovane, di alcuni miliardi di anni più giovane della vecchia (dimostrando, quindi, di aver potuto innescare eventi multipli di formazione stellare).

“Come gli archeologi, che scavano nella polvere portando alla luce i resti di civiltà antiche e disseppelliscono frammenti fondamentali per ricostruire la storia dell’umanità, in quest studio siamo riusciti a penetrare attraverso gli spessi strati di polvere interstellare che oscurano il Bulge della Via Lattea, svelando l’esistenza di una nuova classe di straordinari relitti stellari”, aggiunge la Dott.ssa Livia Origlia di INAF-Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio (OAS) di Bologna, co-autrice del lavoro.

Proseguendo nell’analogia, il ritrovamento di un solo reperto fossile, in generale, dice poco sull’importanza del sito: potrebbe essere stato collocato lì da una serie di eventi casuali. Il ritrovamento di un secondo fossile nello stesso sito, invece, indica che probabilmente qualcosa di molto più complesso e significativo potrebbe essere ancora nascosto sotto la sabbia. Nello stesso modo, il ritrovamento di Liller 1, dopo quello di Terzan 5, ci sta indicando che altri reperti fossili dell’epoca di formazione del Bulge sono probabilmente ancora nascosti dietro alle spesse nubi di polvere che oscurano il cuore della nostra galassia.

RISCRIVENDO LO SCENARIO DI FORMAZIONE

DEL BULGE GALATTICO

Mentre le osservazioni dell’universo lontano mostrano che i nuclei centrali (bulge) delle galassie a spirale si formano attraverso la fusione di aggregati primordiali di gas e stelle, nessuna evidenza di questo processo era stata mai trovata nella Via Lattea. Grazie alla straordinaria sinergia tra il telescopio Gemini South in Cile e il telescopio spaziale Hubble, è stata scoperta una nuova classe di sistemi stellari battezzati “Frammenti Fossili del Bulge” che costituiscono i reperti fossili di quel processo di formazione. La scoperta, pubblicata nell’edizione di lunedì 14 dicembre 2020 della prestigiosa rivista Nature Astronomy è il risultato di uno studio condotto da un gruppo internazionale di astrofisici guidato da Francesco Ferraro del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e associato all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Credit: ESO/S. Brunier